Toni Mazzetti Da mare a mare attraverso le Alpi da Trieste a Genova
nel Centenario dell'Inutile Strage
Una strada che non porti solo da qualche parte, ma una strada che porti a un'idea, una strada non banale che porti a un'idea forte. Quanti chilometri ci sono da Trieste a Genova, quante strade portano da una costa all'altra dello stesso mare? Quanti paesi e quanta gente si possono incontrare, quante storie e quanti confini si possono attraversare? Una moto senza fronzoli, che non sia superba e palestrata, ma compagna e complice, una moto vera con più coraggio che forza.
Le Alpi sono una grande cicatrice geologica, prodotta dallo scontro titanico tra due continenti che ancora continua. Le Alpi sono una straordinaria cicatrice della Storia fatta di soldati e di mercanti ma anche di pellegrini della fede e di uomini in cerca di bellezza e conoscenza.Cento anni sono passati dall'inizio dell'inutile strage mondiale e quasi 100.000 Km ha il cuore metallico della mia Morini 3½ gt, piccola grande italiana... Idee che mi passano in testa all'inizio dell'estate scorsa...così un lunedì di Luglio all'alba sono partito da Este per andare a prendere un caffè a Trieste: un Illycaffè all'Harry's Bar di Piazza Unità d'Italia, la Piazza Grande, affacciata, oltre il molo dell'Audace, sul mare di Barcola. Da qui può cominciare un viaggio, dentro la Storia, dentro la bellezza, cercando risposte e visioni, cercando al di là dei confini la strada per Genova ..., per l'altro mare. Sotto le scabre alture del Carso il castello di Miramare splende al sole, quando lascio la città e inizio il “viaggio a cavallo dei confini”.Prendo la SS14 lungomare e presto sono al bivio di Duino, saluto l'Adriatico e vado a nord, cercando di capire quale sia tra le basse colline l'Hermada, inespugnabile roccaforte austroungarica nella terribile Undicesima battaglia dell'Isonzo. Ora la strada si alza sfiorando altri luoghi tragici come il lago di Doberdò: penso ai muri di San Martino del Carso, al giovane poeta Ungaretti, agli eroi della Brigata Sassari...
La SS55 termina in una grande rotonda, vado verso la Slovenija per attraversare il primo confine. Entro nella strada 103 che punta a nord: attraverso Nova Gorica entrando nella valle dell'Isonzo/Soča. Bella, pulita, ampia, la strada corre tra prati luminosi, poi si alza e si stringe in gole serrate dove al fondo scorre gioioso tra i massi l'Isonzo verde smeraldo. Nella piana di Caporetto/Kobarid sento forte il contrasto tra la pace dei luoghi e l'amara consapevolezza della Storia: qui il 24 ottobre 1917 ebbe inizio una delle più drammatiche e stupide sconfitte dell'esercito italiano (leggi Fritz Weber: Tappe della disfatta).Silenzio. Riprendo tra pascoli ordinati mentre la valle slovena sale dolcemente fino al bel paese di Bovec/Plezzo, storico crocevia di passi alpini; quindi si stringe e inizia a salire verso il Passo del Predil (1156 m) che mi riporta in Italia. Qui gli edifici delle dogane sono abbandonati e fatiscenti, solo l'alberghetto sembra ancora vivo, ma è chiuso. Per una porticina seminascosta riesco a entrare e mentre chiedo scusa per l'intrusione, qualcuno mi saluta per nome! E' un conoscente del mio paese, che assieme a due operai sloveni ha un cantiere stradale da queste parti. Con la loro raccomandazione riesco ad avere una fetta di torta e un tè. Riparto contento e scendo verso Cave del Predil/Raibl. In questa zona l'attività estrattiva cominciò nell'800 a.C. e proseguì fino a pochi decenni fa, estraendo dalle viscere del monte Re zinco e piombo. E' un paesaggio da “company town”, con grandi pareti di cava strapiombanti sulla strada il cui grigiore contrasta con la bellezza dei pascoli e dei boschi che rivestono la valle e i fianchi del curioso monte Cinque Punte.
Scendo a Tarvisio dove prendo la trafficata SS13, che lascio volentieri a Pontebba. Qui ho un bel nodo da sciogliere. Cerco la strada che si avvicina il più possibile al confine con l'Austria, quella che porta al solitario Passo del Cason di Lanza: la strada più stretta che porta a Genova. Un vecchio del posto mi mostra l'accesso, quasi privato, che costeggia il vivace torrente Pontebbana.
Fa un caldo torrido: levo la giacca che scotta la pelle. Questa è la montagna severa dell'alta Carnia, la stradina sale svelta, appassionante in mezzo a boschi dal silenzio antico che sa di lontananza. Appare una grande frana il cui biancore esteso sul pendio un po' mi spaventa: quando vi arrivo trovo alcuni tornantini semisterrati messi in piedi che salto via di slancio.
Il Passo Cason di Lanza (1550 m) è un dosso prativo tra le montagne, un luogo semplice, immerso nella natura accogliente, con una bella casera dove si fa ospitalità agrituristica e si produce latte e formaggio. Qui nel 1478 i montanari carnici vinsero un'epica battaglia contro i predoni Turchi che da tempo saccheggiavano la Carinzia, la Slovenia e il Friuli. Breve sosta ristoratrice e quindi giù verso Casera Ramàz fino a Paularo nel Canal d'Incarojo e poi a ovest per Paluzza fino alla sella prativa di Forcella di Liùs (1070 m), dove sotto una pioggerella calda fotografo un magnifico giglio rosso di San Giovanni, che spunta tra le alte erbe bagnate. A Paluzza chiedo la strada per Povolaro-Comeglias. Attraverso paesi a solatìo, sospesi nel tempo, dai bei nomi di Zovello, Sella di Valcalda, Cercivento e Ravascleto. A Comeglians punto a nord, direzione Rigolato, Forni Avoltri, Sappada. A Cima Sappada mi fermo sul ponte per un omaggio al Piave che dal monte Peralba scende per la Val Sesis: quanti morti hanno accolto le sue acque innocenti (compresi quelli del Vajont)?Sappada/Plodn è un'oasi linguistica dove la gente parla un antico dialetto medievale bavaro-tirolese, simile a quello di Sauris e Timau. Il paese è una sequenza di case, alberghi e negozi lungo la SS355: all'Albergo Cavallino, nella borgata Bach, ho fissato la camera per la prima notte. Quando spengo la moto davanti all'albergo sono le 17:30, giuste 12 ore dalla partenza: abbiamo percorso 503 km. Tranquillo il motore Morini, alla sua vivace generosità brindo con una gran birra guardando il passeggio dei villeggianti. Prima di cena il padron dell'albergo mi racconta del pellegrinaggio che in Settembre, da duecento anni, gli abitanti di Sappada fanno al santuario della Madonna Addolorata di Maria Luggau in Carinzia, scavalcando, fra canti e preghiere, lo spartiacque alpino, per adempiere al voto fatto dagli avi in occasione di una terribile pestilenza che aveva colpito il bestiame. Questo gesto di fede popolare mi richiama la Grande Rogazione di Asiago/Sleghe, cui ho partecipato nel ricordo di Mario Rigoni Stern.
Presto passa la notte e alla mattina con calma riprendiamo la strada per Santo Stefano di Cadore. Per la Val Pàdola arrivo al Passo di Monte Croce Comelico-Kreuzbergpass (1636 m), oltre il quale si alzano le belle Dolomiti di Sesto.
Quindi la luminosa Val Pusteria con San Candido, Dobbiaco, Monguelfo, Brunico, e giù fino al bivio del lago di Varna/Brixen, per risalire a nord, lungo la valle dell'Isarco e la strada del Brennero fino a Vipiteno. E qui comincia il bello: prendo la SS44 e salgo al Passo di Monte Giovo/Jaufenpass (2094 m). Che piacere sentire il canto vigoroso del 3½ spingere su per i tornati e aspettarmi paziente quando sosto per una foto, e poi via ancora nell'aria fine dell'alta montagna con curve veloci tra i pascoli. In cima, mentre sistemo la borsa sul serbatoio, si avvicinano tre tedesconi appena scesi dalle loro monumentali BMW 1200 gs. Mi girano attorno pronunciando con ammirazione “Moto Morini”, la guardano, chiedono l'età: dico che è del 1980, ha 35 anni e quasi 100.000 Km. Poi vedono l'adesivo di Capo Nord e fanno meraviglie e ancor di più ne fanno guardando le gomme tassellate da enduro: sono le termiche Heidenau K37 che ho usato nel 2012 per andare all'Elefantentreffen, faccio vedere la medaglietta con l'elefantino sul cruscotto. Mi chiedono dove vado: “vado a Genova”. Si guardano perplessi.
In un inglese approssimativo spiego che per l'anniversario della Grande Guerra, in segno di Pace, voglio ricucire i confini di tutti gli stati che bevono l'acqua delle Alpi. Restano immobili, guardano questo piccolo italiano e la sua gloriosa moto italiana, portano la mano al cuore e duri impettiti, come sanno fare i tedeschi, dicono “Respekt!”. Un caffè e giù in discesa a cuor leggero, fino a San Leonardo in Val Passiria. E adesso si va in Austria: dopo Moso risalgo la valle con la sensazione di essere dentro a una cartolina, a paesaggi pittoreschi da calendario svizzero.
A Belprato inizia un tratto duro e spettacolare, mi fermo a fare foto, mentre passano bikers di tutti i colori con la scatoletta GoPro sul casco: ho l'impressione che vedano solo la strada a serpente e continue prede davanti. Salendo il panorama si amplia: montagne nere coperte da nuvole con brandelli di neve sospesi sopra le giovani morene... è il paesaggio della liquefazione dei ghiacciai.
Vado piano, ad una sorgente mi fermo, prendo un sorso d'acqua gelida e mi rinfresco la faccia. Poco prima del passo costruzioni in cemento dalle forme essenziali sorprendono per il loro dialogare con il paesaggio. Al Passo del Rombo/Timmeslsjoch (2509 m)trovo ancora neve (siamo a luglio!), faccio foto, passeggio e visito il curioso parallelepipedo dall'equilibrio improbabile che ospita la storia della strada del passo, da antica mulattiera a strada turistica transfrontaliera ad unire popoli e bellezze.
Quando salgo in moto sono già in Austria. La Ötztal mi porta in Tirolo, passo la barriera del pedaggio e calo a Sölden e a Umhausen, dove è stato ricostruito il “villaggio di Ötzi", l’uomo venuto dal ghiaccio, rinvenuto nel 1991 sulla cresta del Similaun. Alla fine della discesa prendo per Landeck lungo la valle dell'Inn, giro per Nauders e salgo a Passo di Resia/Reschenpass (1455 m). Nello squallore dell'inutile frontiera, sporca e abbandonata, una breve sosta per una birra e per avvisare l'albergo che sono in ritardo. Scendo la valle dell'Adige/Etch, il fiume ridente che nell'Età del Ferro passava per la mia Este, alimentando la pacifica civiltà dei Veneti antichi. Costeggio il lago artificiale di Resia e a Curon Venosta saluto il solitario campanile che spunta dalle acque.
Poi giù verso Malles, ma prima ancora una sosta - non importa il ritardo - a fotografare nella penombra della montagna il dialogo tra la candida Abbazia di Monte Maria e il petroso Castel del Principe di Burgusio. E infine ecco le mura che cingono il paese da sogno di Glorenza/Glurns, straordinaria piazzaforte urbana rinascimentale. Sono le 19:30 quando spengo la moto nel cortile dell'Hotel Post. Undici ore per fare 370 Km di vera montagna. Mi aspetta il conforto di una cena di qualità e una passeggiata serale sotto i portici della Laubengasse.
La giornata si chiude con una telefonata a casa e agli amici per rassicurarli sull'ottima tenuta del complesso uomo-moto e informarli del clima troppo caldo. Sorpresa! Durante la notte arriva un temporalone che lascia una mattina ammaccata e piovigginosa. Così parto con calma alle 8:45 e imbocco la Val di Trafoi con un tempo da Transilvania. La tabella dei mitici 48 tornanti dello Stelvio ha il potere di impastare adrenalina e pioggia. Non c'è traffico, poche macchine e pochissime moto, nessun ciclista, sarà l'ora o il tempo infame, così il 3½ Morini sale che è un piacere la mitica scala, navigando libero tra la nuvolaglia che nasconde gli imponenti contrafforti dell'Ortles. Ai 2758 metri dello Stelvio/Stilfserjoch tutto è coperto e cade un nevischio marcio e freddo.
Questo è il secondo valico automobilistico più alto d'Europa dopo il Col de l'Iseran... che troveremo più avanti, lungo la strada che porta a Genova.La storia mi ricorda che anche questo angolo alpino, nella Prima guerra mondiale, fu teatro di scontri tra soldati austriaci e italiani, ma alla fine i morti dovuti al gelo e alle slavine furono certamente in numero maggiore rispetto a quelli causati dalle armi. Prima di partire la foto di rito me la scatta un giovanottone che manovra una super accessoriata F800 gs.
Chiudo il casco e giù per altri 36 tornanti fino a Bormio, dove prendo la SS301 per Livigno. Il tempo migliora ma arrivo al Passo Foscagno (2291 m) con cielo coperto e livido. Mi fermo alla tabella del passo e un minuto dopo arriva il giovanottone con F800. Ci rifotografiamo a vicenda e con il solito inglese maccheronico faccio un po' di conversazione. Viene dalla Polonia e non conosce la Moto Morini. Gli dico due parole su questo marchio storico, vanto della meccanica italiana e, staccando la borsa dal serbatoio, gli mostro la firma dell'ing. Lambertini! Quasi gli prende un colpo realizzando che viaggio con una moto di 35 anni autografata dal progettista del motore: un motore al quale fa gran complimenti visto che abbiamo fatto lo stesso tratto di strada in pari tempo! Poi parte diretto in Svizzera, io passeggio tra le rocce, sperando esca un po' di azzurro per fare qualche foto.
Prima di arrivare a Livigno scavalco il Passo dell'Eira (2208 m), dove esce il sole e c'è la cappella dedicata alla Madonna della Pace: due segni che sollevano lo spirito! Livigno è un luogo turistico affollato e commerciale, in quanto zona extradognale, la benzina costa poco più di un euro: mi fa venir rabbia e passo oltre senza fare il pieno. Seguo la valle che piega a sud e sale fino al Passo della Forcola (2315 m), dove entro in Svizzera attraversando una sbarra alzata e inutile: un altro non-luogo triste e sporco. Scendo per la valle fino al bivio di La Motta, passo le barriere aperte della Dogana svizzera e riprendo a salire verso Passo Bernina, in un paesaggio di montagne in parte ancora innevate, con una strada comoda e ben tenuta che invita a correre. Invece vado piano guardandomi intorno, anzi mi fermo: ho visto, come in un sogno, il trenino rosso scivolare tra i prati che salgono al Bernina. Arrivo al Passo del Bernina (2330 m) con il sole che fa brillare i ghiacci sulle cime scure: breve sosta per la foto e giù in discesa passando davanti all'antico Ospizio sulla riva del lago della Cruseta. Costeggio la ferrovia che cala a Sankt Moritz e i due laghi che dal colore delle acque prendono il nome di lago Bianco e di lago Nero. Scendo verso Pontresina accompagnato dalla meravigliosa vista dei ghiacciai sospesi del Pizzo Bernina che eroicamente resistono al riscaldamento globale del Pianeta. Alla fine della discesa ritroverò il corso dell'Inn e vedrò la pittoresca Val Engadina, ma il tempo si rimette al brutto, nuvoloni neri coprono i laghi di Sankt Moritz: un vero peccato! Poi si scatena un acquazzone memorabile che mi costringe ad una sosta tecnica per indossare la Tucano Urbano. Proseguo prudente, ma ad un certo punto devo fermarmi... solo che i freni fradici mi mollano e vado lungo ... facendo un'acrobazia su e giù per l'aiuola di una stazione di servizio: un miracolo del telaio, delle vecchie sospensioni e delle gomme da carro armato. Sosta con caffè e benzina, poi schiarisce e riparto spedito. Dopo Silvaplana un altro regalo sono i 12 tornanti mozzafiato che salgono al Passo del Maloja (1815 m) dove nasce l'Inn, che sarà tributario del Danubio a Passau. Discendo tranquillamente in Val Bregaglia e a Castasegna rientro in Italia e in breve sono a Chiavenna. Ora punto a nord verso Madesimo, è la strada dello Spluga, un delirio di tornanti: saranno 72! tra Chiavenna e Splügen in Svizzera. Un vero capolavoro di ingegneria, progettato per conto dell'impero austriaco, all’inizio dell’800, dal geniale ingegnere Carlo Donegani, lo stesso che pochi anni dopo firmerà un’altra delle meraviglie delle Alpi: la strada dello Stelvio.
Qui il 3½ Morini tira fuori tutto il suo valore arrampicandosi gagliardo su per il groviglio di stretti tornanti - alcuni in galleria - letteralmente rubati alla verticalità della montagna a strapiombo sulla valle... Bisogna averla fatta questa strada spettacolare per capire l'emozione che può dare! In alto quando costeggio il lago artificiale di Montespluga il cielo si copre di nuvole pesanti creando un'atmosfera sospesa che richiama scorci indimenticati del Grande Nord. Mi fermo col cuore che batte, fotografo il paesaggio “artico” di nude rocce bagnate e l'acqua che ha lo stesso colore del mare di Honningsvåg nell'isola di Magerøya. Riprendo piano tra le pietraie e i magri pascoli, come dentro un santuario: lo sguardo è lontano... Sosta al cartello dello Splügenpass (2113 m) e quattro passi nel vento per smaltire l'emozione. Il Passo di Spluga è il territorio d'Italia in linea d'aria più lontano dal mare: è ora di riprendere la strada per Genova! Una dogana aperta e desolata nella nebbia mi riporta in Svizzera. Calo con bei tornanti a Splügen nell'alta valle del Reno posteriore, che porterà le acque dei ghiacciai alpini attraverso l'Europa fino al Mare del Nord. Risalgo la valle dei Grigioni in direzione del Passo di san Bernardino, ma poco dopo Hinterrhein faccio casino con le indicazioni e finisco alla sbarra d'accesso della galleria camionabile.
Con una manovra banditesca volto la moto e contromano esco per un varco di servizio: un po' di sterrato da cantiere e riprendo la strada per l'alta montagna. D'improvviso compare una nebbia da streghe, che trasforma il paesaggio in un ambiente onirico, evanescente, dai toni grigi con improvvisi schizzi di colore, in un silenzio di roccia, irreale e magico: solo nei miei sogni islandesi ho visto queste cose... Poi il sipario si apre e appare il monolito severo dell'Ospizio a guardia del Passo di san Bernardino (2066 m). Fermo la moto sul bordo del laghetto con tre isolette su cui sventola la bandiera rosso crociata svizzera. Approfitto del sole per camminare sulle rocce lisciate dagli antichi ghiacciai e trovo un popolo di ometti di pietra che guardano il lago: ne restauro uno, come forma di meditazione e adesione al luogo. Poi sotto l'antico portale dell'ospizio mi concedo un'altra sosta al sole. Con il brillante cameriere parliamo della lingua Romancia, affine al Ladino, ancora in uso nei Grigioni. Alla fine dei discorsi per una fettina di torta e un caffè saranno 10€ e 50. Riparto verso Bellinzona, formidabile piazzaforte medievale e capoluogo del Canton Ticino. Mi porto sulla sponda destra del fiume e lo seguo fino alla piana dove si getta nel Lago Maggiore. Costeggio il lungolago di Locarno e Ascona fino a Brissago e a Madonna del Ponte passo, per la quarta volta in un giorno, il confine tra Svizzera e Italia. Si fa sera rosa sul lago quando arrivo a Cannobio. Mi fermo a fotografare le romantiche isolette: qui son venuto in viaggio di nozze quarant'anni fa...
Salgo per la Val Cannobina una strada serrata dentro una gola boscosa, con curvette tecniche e maligne che sono una vera palestra. C'è un buon feeling con le gomme e la moto va che è un piacere: forse è come i buoi di un tempo, che a fine giornata, sentendo l'odore della stalla, tiravano più forte. Arrivo all'albergo Belvedere nel paesino di Cùrsolo-Orasso, in tempo per vedere l'ultimo sole. Sono le 20e15: dodici ore di curve e tornanti per fare 349 km.
Dopo cena bevo una birra nella pace color malva del luogo e ascolto le chiacchiere delle donne sedute sui gradini della piazzetta. A letto riordino le 30 fotocopie su cui ho segnato il percorso e ripasso le strade fatte e quelle che ho davanti. Poi al sonno mi accompagna “Laudato si'”, la parola di Papa Francesco sull'amore e la responsabilità nei confronti del Pianeta vivente. La colazione della mattina è sostanziosa: questo, come sempre, sarà l'unico pasto vero del giorno. Quando arrivo sulla piazzetta del paese il sole fa un riflesso sul cupolino del Morini: poggio la mano sul 58 del SuperSic: “Dai che andiamo Marco!”. Poco dopo le 8 sono in moto, il giorno è splendido e la montagna chiama. A Finero, mi fermo al monumento dedicato ai Partigiani della Val d'Ossola che “non vollero essere né schiavi né padroni”. Ora la strada corre sull'alta costa della valle luminosa e attraversa paesini esposti graziosamente al sole; scendo a Domodossola nella piana del torrente Toce. Schivo la città che nel 1944 per quaranta giorni fu la capitale della Repubblica partigiana dell'Ossola. Per la Val Divedro salgo al passo del Sempione, che mette in comunicazione la Val Padana con la Valle del Rodano e l'Europa centrale. La SS33 è larga, comoda la salita, ma è molto trafficata e con troppi camion. Alla dogana di Paglino rientro in Svizzera. Quando arrivo al Passo del Sempione/Simplonpass (2005 m), il tempo è bello, il paesaggio luminoso e aperto sui nevai del monte Leone: foto di rito. Non fotografo l'arcigna aquila di granito voluta dai soldati svizzeri nel 1944. Un prete e dei ragazzini, usciti da tende colorate, fanno ginnastica marziale su un prato sotto la bandiera svizzera. Scendo verso Brig guardando le montagne cristalline con i loro vestitini di neve che stanno squagliandosi al sole: probabilmente lo zero termico sarà sopra i 4000 metri! Dopo lo spettacolare ponte sul fiume Ganter, una lunga sosta in colonna: osservo il paesaggio pittoresco e le grosse moto che salgono. A Brig sono nel Vallese, seguo verso est la vallata del Rodano lungo una strada trafficata e piena di costruzioni industriali e commerciali. Verso Sion resto incantato dalla bellezza dei vigneti ordinati sui ripidi pendii assolati della valle: una meraviglia che richiama le vigne sulle alte coste attorno a Chiusa sulla strada del Brennero.
Ma il traffico francamente è insostenibile e non vedo l'ora di arrivare all'antica cittadina di Martigny. Qui lascio la valle del Rodano e per la E27 salgo a sud, lungo la Val d'Entremont, accolto dal grandioso panorama sui ghiacciai del Grand Combin e della Creta de Vella. A Bourg-Saint-Pierre faccio benzina e poco dopo inizia la lunga galleria aperta a valle che porta all'imbocco del tunnel, che non farò. Parte la scalata al Col du Grand Saint Bernard (2473 m). Spettacolare il complesso dell'antico Hospice fondato attorno al Mille da San Bernardo di Mentone, per soccorrere i viaggiatori che attraversavano le Alpi. Quando parcheggio un biker, dall'inglese troppo avanzato per me, fa un sacco di complimenti alla Morini, poi mi dà la mano e sorride annuendo.
La sosta mi porta via parecchio tempo ma ne vale pena. Cammino per i corridoi, attraverso l'arco sospeso tra i due grandi edifici, visito la cappella, finché una signora compita mi chiede, in francese, se ho bisogno di qualcosa, rispondo che voglio solo vedere, mi dice che come pellegrino può offrirmi “un verre d'eau”: al bar mi mette in mano un bicchiere d'acqua fresca... passeggio ancora per questo luogo sospeso nel tempo. Riprendo la strada e passo per l'ultima volta la frontiera svizzera (è il sesto passaggio!) e sono in Italia.
Ancora un paio di foto al grande ospizio che si specchia nel lago alpino e poi giù di corsa, veramente di corsa. Non c'è fretta d'arrivare, solo il puro piacere della guida dinamica con questa moto agile e leggera. Schivo il centro di Aosta e seguo la SS26, che corre parallela all'autostrada per Courmayeur e il traforo del Monte Bianco. A Pré-Saint-Didier imbocco il Vallone di La Thuile.
Mi fermo su un tornante per una foto al massiccio del Monte Bianco, il tetto d'Europa, con i suoi ancora potenti ghiacciai che brillano al sole. Piacevole la strada per il paese di La Thuile, che trovo su un’ampia conca circondata da boschi scuri entro un paesaggio di grande potenza emotiva, con il Monte Bianco sulla destra e l'imponente ghiacciaio del Rutor a sinistra. A colpi di tornanti la Francia si avvicina, sfioro l'occhio azzurro del lago di Verney e sono al pianoro del Col du Petit Saint Bernard (2188 m) - l'antico mont Joux -, luogo di particolare spessore storico. Sopra una colonna, che duemila anni fa reggeva la statua di Giove, ritrovo il buon San Bernardo benedicente.
Entro in Francia, nel dipartimento della Savoia. Oltre il confine c'è un giardino botanico alpino, l’antico Ospizio e la grande statua in bronzo di Benedetto sopra uno spuntone roccioso. Inizio la discesa verso Bourg-Saint-Maurice dove arrivo dopo un'interminabile litania di tornanti. Qui entro nella Route des Grandes Alpes. Seguo verso est la valle del fiume Isère, tributario del Rodano, salendo ai 1850 m di Val d'Isère, famosa stazione sciistica che trovo in festa. Faccio un complicato giro tra le ricche case del paese e alla fine sciolgo il nodo ritrovando la strada per il Col de l'Iseran. Riprendo piano, ma quando inizia la salita vera e la strada sinuosa invita a tenere aperto il gas, libero la snella cavalleria in una danza inebriante che fonde moto e uomo in un'unica cosa gioiosa che corre su per la montagna. Prima del passo, la bellezza assoluta del paesaggio alpino mi costringe alla sosta: penso che le montagne siano il sogno incantato di Dio.
E'grande la felicità quando spengo la moto al Col de l'Iseran (2770 m), il valico stradale più alto d'Europa. C'è un vento freddo e teso su questo pianoro quasi lunare, faccio due passi per ammirare la grandiosa parata delle cime e la cappella di scura pietra dedicata a Notre Dame de Toute Prudence, perfettamente inscritta nel paesaggio.
Scendo verso Bonneval-sur-Arc. A Lanslebourg lascio il fondovalle per la strada del Moncenisio. Subito una bella sequenza di tornanti mi porta in quota verso il lago artificiale con la cappella a piramide che ricorda la Campagna d'Egitto di Napoleon. Poi altre belle curvette in rapida sequenza fino alla frontiera con l'Italia. Il sole è nascosto oltre le montagne e tutto prende un colore azzurrino-freddo quanto spengo “il ferro” al Col du Mont Cenis (2083 m). Chiamo il B&B di Claviére per avvisare del grave ritardo: “vai piano che non c'è problema”.
Cammino per il pianoretto che vide passare gli elefanti di Annibale e il generale Bonaparte e tanta varia umanità in tutti questi secoli. Anche da questo valico passa un ramo della Via Francigena. Poi giù dentro una foresta verso la Val di Susa e Chiomonte, reso famoso dalla contestazione No Tav.Dove la valle si stringe passo sotto l'imponente fortezza medievale di Exilles: meriterebbe una visita, ma è troppo tardi. A Oulx svolto per la SS24 e salgo a Claviére verso il confine francese. E' ormai buio quando spengo la moto davanti al B&B “Al Ghirot”. Sono le 21e30: oggi ho fatto 506 km in 13 ore. Dopo la doccia esco a cercare qualcosa da mangiare, ma è tardi e poi non è stagione. Per misericordia riesco a rimediare un toast, una fetta di torta e un cappuccio all'unico ristorante aperto. E' l'ultima notte che dormo fuori, domani vedrò il mare di Genova.Ho accumulato troppa adrenalina e fatico a prender sonno: rivedo il film di questa full immersion nel cuore delle montagne, le grandiose prospettive di bellezza sulle quali si è posata la ruggine della Storia.
Al mattino inizio a guardare il cielo molto presto. Oggi, venerdì 10 luglio 2015, è il quinto giorno di viaggio: si parte per arrivare a Genova e tornare a casa. Mentre faccio la solita abbondante colazione, con il padron di casa parliamo di scuola e dell'incerto futuro economico e ambientale riservato a chi oggi ha 15 anni.
Verso le 8 chiudo il casco e rimetto in moto il bicilindrico Morini, ma prima di partire scatto una foto al battistrada tassellato delle Heidenau da Elefantentreffen: si meritano questo riconoscimento prima della fine dell'avventura. Passo la frontiera e rientro in Francia. Il Col de Montgenévre (1804m) arriva dopo un paio di chilometri fatti piano.
Da questo valico agevole son passati i Galli i Romani e tutti gli eserciti dal medioevo all'Ottocento. Qui passa la Via Francigena Burdigalese per Roma e per Santiago. A Mongénevre vedo l'obelisco dedicato a Napoleon che, fra le tante, fece allargare questa strada come quella del Moncenisio. Scendo un po' di tornanti prima di arrivare a Briançon nella valle della Durance.
Seguo la N94 fino a Guillestre dove prendo la D902 per il paese di Vars. La strada scorrevole e corsaiola mi riporta sopra le foreste al luminoso ambiente alpino del Col de Vars (2109 m), circondato da vette scure screziate dal bianco dei ghiacci fondenti.
Foto di rito e giù per bei tornanti con pendenza superiore al 10% fino a Saint-Paul. Qui entro nella D900 per Meyronnes e Larche e inizio la salita verso il Col de Larche, per gli italiani il Col della Maddalena (1996 m).
Per festeggiare l'arrivo in Italia mi fermo al Rifugio della Pace della Compagnia del Buon Cammino: titolazione quanto mai gradita in questo viaggio tra storia e bellezza. Al giovane uomo dal viso aperto che mi prepara il cappuccio chiedo cosa significhi “Compagnia del Buon Cammino”.
Mi parla di un gruppo di amici amanti dei silenzi della montagna e dello stare assieme in modo conviviale. Gli dico che anch'io sono un camminante e da cinquant'anni porto la gente a camminare sui miei Colli Euganei, che ho studiato tutta la vita.
Mi racconta che è finito quassù per cambiar vita, per ascoltare la natura e ospitare gente di passaggio in un luogo colorato che è stato un antico posto di dogana. Si avvicina alla finestra che dà sul retro e con un sorriso quasi infantile mi mostra le cassette di legno dove, a quest'altezza, coltiva ottimi pomodori. Mi viene d'abbracciarlo. Oggi è un gran bel giorno e sento il forte sapore della libertà.Sfiorando il laghetto della Maddalena scendo per la Valle Stura verso Argentera, Vinadio e Borgo San Dalmazzo. Piuttosto che passare per Cuneo, devio per i paesini di Boves, Peveragno, Chiusa di Pesio. A Vasco confluisco nella SS28 del Col di Nava, che mi porta a Lesegno nella valle del Tanaro e quindi a Ceva, dove costeggio l'autostrada verso Montezemolo. La strada si fa stretta e tutta curve entro boschi verde scuro che già sanno di mare. Passo Millesimo, Plodio, Càrcare e finalmente arrivo ad Altare. Non trovo facilmente l'indicazione che cerco e giro un po' per le strade del paese, poi alla fine di una vietta, seminascosta dalla vegetazione, ecco la punta di granito sul piccolo valico dove terminano le Alpi e inizia l'Appennino: siamo a Bocchetta d'Altare o Colle di Cadibona (459 m). Abbiamo alle spalle tutte le Alpi! Accarezzo la moto e resto lì emozionato in questo piccolo luogo appartato, che segna ancora un confine. Scendo verso Savona con una specie di euforica frenesia: la strada mi par leggera fino ai viali alberati della città. Ad un semaforo affianco uno scuterista e chiedo per il mare, così mi fa strada fino al grande azzurro disteso. Entro nell'Aurelia, l'antica strada consolare per la Francia, ora SS1, che corre alta sulla costa rocciosa del golfo ligure. C'è un gran traffico di vacanzieri e fa caldo. Fotografo il mare e le buganvillee fiorite che mi ricordano la Sardegna. Passo Varazze, Voltri, Sestri e finalmente Genova, la grande città sul mar Tirreno! E' un venerdì di luglio verso le cinque del pomeriggio: mi accoglie un traffico infernale, un caos indicibile, tutti corrono senza ritegno.
C'è poco da fare: parte la bagarre, una sorta di corrida con moto, auto, camion, furgoni e pullman. Una cosa pazzesca ai confini della realtà. Temo per la tenuta della frizione, ma sono in ballo e volo sulla sopraelevata che passa sopra il porto: non c'è spazio né tempo per fotografare. Ai semafori chiedo la strada per la Val Trebbia. A Carignano la SS1 piega verso nord, lascia la costa e punta verso i monti. Dopo il quartiere Foce, all'imbocco del tunnel sotto la ferrovia, abbandono l'Aurelia e proseguo per la SS45 della Val Trebbia, passando per Marassi. A poco a poco il traffico si stempera e finalmente inizia la traversata dell'Appennino: mancano più di 300 km a Este. Mi rendo conto che ho bruciato Genova senza una tappa, neanche per un caffè. D'altronde, in un viaggio non è la meta che conta veramente, ma è il viaggio in sé... è il sogno che muove il cuore.
Salgo tra paesini incastonati nel verde di fitti boschi di querce e carpini. Prima di Torriglia entro nella galleria sotto al Passo della Scoffèra (674m), che segna lo spartiacque ligure-padano. Verso Ottone la strada e il fiume s'intersecano come due serpi in amore. Vien voglia di fermarsi su una di quelle spiaggette bianche con l'acqua verdeazzurra. Quest'alta Val Trebbia è incantevole e la strada sembra fatta apposta per danzare con la moto.
A Bobbio il Trebbia si allarga come una fiumana e un antico ponte romano ad arcate diverse lo attraversa: rallento, dovrei fermarmi ma non c'è tempo, oggi si va a casa. La strada ora scorre veloce e l'Appennino dolcemente sfuma scendendo alla pianura del Po. Arrivo a Piacenza che è quasi il tramonto: faccio benzina per l'ultima volta ed entro nella SS10 verso Cremona. Dopo le montagne la Pianura padana - con i suoi capannoni, le zone industriali semiabbandonate e tutte quelle rotatorie - appare francamente brutta: la mente si rilassa e già lascia spazio ai ricordi dei passi alpini.
A Cremona attraverso il Po e il centrocittà in direzione di Mantova. Ormai è notte e … sarà la stanchezza o l'eccessivo abbandono ai ricordi... sbaglio strada! Un penoso girovagare per strade e paesini sconosciuti nella campagna buia verso il Po fino a ritrovare la giusta via per casa: una bella lezione di umiltà per chi ha fatto il giro delle Alpi, senza navigatore! La butto in ridere. Quando arrivo a Este è da poco passata la mezzanotte: sono stato in sella 16 ore per fare 650 km. Un ultimo buffetto a questa moto gentile, affidabile e generosa. Il contachilometri segna 98.170, alla partenza erano 95.792, il motore Morini 3½ gt (vero Gran Turismo, vero Granpasso) ha fatto 2.378 Km di montagne in 5 giorni senza perdere un colpo...
Questa per me è stata la “strada per Genova”.
Toni Mazzetti