Toni Mazzetti Da mare a mare attraverso le Alpi da Trieste a Genova
nel Centenario dell'Inutile Strage
Una strada che non porti solo da qualche parte, ma una strada che porti a un'idea, una strada non banale che porti a un'idea forte. Quanti chilometri ci sono da Trieste a Genova, quante strade portano da una costa all'altra dello stesso mare? Quanti paesi e quanta gente si possono incontrare, quante storie e quanti confini si possono attraversare? Una moto senza fronzoli, che non sia superba e palestrata, ma compagna e complice, una moto vera con più coraggio che forza.
Le Alpi sono una grande cicatrice geologica, prodotta dallo scontro titanico tra due continenti che ancora continua. Le Alpi sono una straordinaria cicatrice della Storia fatta di soldati e di mercanti ma anche di pellegrini della fede e di uomini in cerca di bellezza e conoscenza.Cento anni sono passati dall'inizio dell'inutile strage mondiale e quasi 100.000 Km ha il cuore metallico della mia Morini 3½ gt, piccola grande italiana... Idee che mi passano in testa all'inizio dell'estate scorsa...così un lunedì di Luglio all'alba sono partito da Este per andare a prendere un caffè a Trieste: un Illycaffè all'Harry's Bar di Piazza Unità d'Italia, la Piazza Grande, affacciata, oltre il molo dell'Audace, sul mare di Barcola. Da qui può cominciare un viaggio, dentro la Storia, dentro la bellezza, cercando risposte e visioni, cercando al di là dei confini la strada per Genova ..., per l'altro mare. Sotto le scabre alture del Carso il castello di Miramare splende al sole, quando lascio la città e inizio il “viaggio a cavallo dei confini”.Prendo la SS14 lungomare e presto sono al bivio di Duino, saluto l'Adriatico e vado a nord, cercando di capire quale sia tra le basse colline l'Hermada, inespugnabile roccaforte austroungarica nella terribile Undicesima battaglia dell'Isonzo. Ora la strada si alza sfiorando altri luoghi tragici come il lago di Doberdò: penso ai muri di San Martino del Carso, al giovane poeta Ungaretti, agli eroi della Brigata Sassari...
La SS55 termina in una grande rotonda, vado verso la Slovenija per attraversare il primo confine. Entro nella strada 103 che punta a nord: attraverso Nova Gorica entrando nella valle dell'Isonzo/Soča. Bella, pulita, ampia, la strada corre tra prati luminosi, poi si alza e si stringe in gole serrate dove al fondo scorre gioioso tra i massi l'Isonzo verde smeraldo. Nella piana di Caporetto/Kobarid sento forte il contrasto tra la pace dei luoghi e l'amara consapevolezza della Storia: qui il 24 ottobre 1917 ebbe inizio una delle più drammatiche e stupide sconfitte dell'esercito italiano (leggi Fritz Weber: Tappe della disfatta).Silenzio. Riprendo tra pascoli ordinati mentre la valle slovena sale dolcemente fino al bel paese di Bovec/Plezzo, storico crocevia di passi alpini; quindi si stringe e inizia a salire verso il Passo del Predil (1156 m) che mi riporta in Italia. Qui gli edifici delle dogane sono abbandonati e fatiscenti, solo l'alberghetto sembra ancora vivo, ma è chiuso. Per una porticina seminascosta riesco a entrare e mentre chiedo scusa per l'intrusione, qualcuno mi saluta per nome! E' un conoscente del mio paese, che assieme a due operai sloveni ha un cantiere stradale da queste parti. Con la loro raccomandazione riesco ad avere una fetta di torta e un tè. Riparto contento e scendo verso Cave del Predil/Raibl. In questa zona l'attività estrattiva cominciò nell'800 a.C. e proseguì fino a pochi decenni fa, estraendo dalle viscere del monte Re zinco e piombo. E' un paesaggio da “company town”, con grandi pareti di cava strapiombanti sulla strada il cui grigiore contrasta con la bellezza dei pascoli e dei boschi che rivestono la valle e i fianchi del curioso monte Cinque Punte.
Scendo a Tarvisio dove prendo la trafficata SS13, che lascio volentieri a Pontebba. Qui ho un bel nodo da sciogliere. Cerco la strada che si avvicina il più possibile al confine con l'Austria, quella che porta al solitario Passo del Cason di Lanza: la strada più stretta che porta a Genova. Un vecchio del posto mi mostra l'accesso, quasi privato, che costeggia il vivace torrente Pontebbana.
Fa un caldo torrido: levo la giacca che scotta la pelle. Questa è la montagna severa dell'alta Carnia, la stradina sale svelta, appassionante in mezzo a boschi dal silenzio antico che sa di lontananza. Appare una grande frana il cui biancore esteso sul pendio un po' mi spaventa: quando vi arrivo trovo alcuni tornantini semisterrati messi in piedi che salto via di slancio.